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Perché gioia e dolore han lo stesso sapore.

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Caro Signore. Mi hai regalato una giornata piena di soddisfazioni, mi hai fatto ridere, esultare, cantare come uno scemo – nel soggiorno di casa – “Viva la vida”, quella canzone che ho nel sangue da anni. Mi hai fatto telefonare alla famiglia contento delle novità della giornata.

Mi hai regalato tanto oggi. Eppure stasera, hai trovato come farmi riflettere.

Ho pianto. Ho pianto di nascosto, guardando quei neon infernali.

Hai chiesto a mio zio di affrontare la più bella sfida dell’uomo. L’hai fatto proprio lo stesso giorno in cui ero andato – di mattina – a trovarlo per chiedergli aggiornamenti circa la destinazione dei soldi che voglio donare. L’hai fatto proprio lo stesso giorno in cui lui mi ha fatto il regalo della mia laurea ed ha continuato a mostrare il suo orgoglio tra le persone che incontravamo, che per quanto lui provi a nascondere – credimi – era visibilissimo.

Mi aveva visto andare via col casco e un fascia-collo rosso. Mi ha chiesto “cos’è quello?!”. “Zio, un fascia-collo… c’è freddo fuori”. E lui “sai, io sono del parere – ma non ascoltarla, è una mia idea malsana – che il corpo vada abituato a difendersi da sé”. Amo scherzare sempre… e non ho potuto non rispondergli “allora da domani giro nudo!”.

Era stato un incontro piacevole, in un periodo in cui – nella mia vita – tutto si incastra sempre in maniera perfetta non permettendomi mai di pentirmi di qualcosa o di rimuginare su qualche tassello mancato per un pelo. Vivo la vita pienamente, la prendo a morsi e – da tutti i lati – mi sento ripagato.

Proprio in questo periodo si era riaperto un bel dialogo. Un dialogo diverso però. Avevamo avuto modo di parlare per ore, eravamo andati a prendere una pizza insieme, cosa che con te – e adesso mi riferisco a te, mio caro zio – non avevo mai fatto da quando son nato.

“Da quando ho scelto d’esser sacerdote, la mia famiglia terrena è stata sostituita da una famiglia più grande”. Mi hai giustificato così il tuo essere sempre impegnato per gli altri, impegnato per le Chiese di Sicilia e poco presente con i parenti.

Quella sera successe un miracolo: ho avuto modo di farti riflettere… e questa è stata una svolta epocale. Eravamo immersi in un dialogo tra due adulti. Riuscivo a dirti cose che smuovevano in qualche modo il tuo essere interiore nonostante la tua settantina d’anni portati sempre come un trentenne. Sì, perché è questo ciò che pensa la gente di te quando ti vede partire per le diocesi siciliane su una Honda Transalp. Sei proprio un sacerdote strano, c’è poco da fare. Però hai dei bei occhi azzurri.

Questa notte hai di fronte a te una sfida. Quando quella sera parlammo, e si parlò veramente di tutto, mi dicesti che è strano come in questa società di tutto si parla tranne che di morte, e per farmi capire quanto sbagliato fosse l’atteggiamento, usasti delle parole perfette: “si può non nascere, ma non si può non morire”. Mi son rimaste dentro quelle parole lì. Non ho avuto, forse il tempo, forse il coraggio, di parlarne sul blog. Si può non nascere ma non si può non morire. Voglio ripeterla perché lo vedi, io adesso sto scrivendo queste parole, tu non sei ancora morto e la gente penserà che stia scrivendo un epitaffio. Invece son sicuro che tu capirai. Sto parlando della tua morte, perché sebbene non sappiamo ancora come andrà a finire, è pur sempre “già scritta da qualche parte. Senza paura, senza sé o ma che possano cambiarne il valore”.

Ti sei lasciato colpire da un ictus cerebrale. Qualcosa di talmente sopraffino che mi suona quasi come “il piano perfetto” da riservarsi. Sei dichiarato “non operabile” per la vastità dell’ictus, il che significa c’è solo da aspettare che il tuo corpo si affidi a chi dall’Alto decide. Quel sangue può riassorbirsi così come può scorrere ancora. Non ci sono medicine da somministrarti, non c’è possibilità di accanimento terapeutico. Dovrò dirlo al mio fascia-collo

E’ una notte lunga questa. Mi hanno rimandato a casa perché dovrei dormire un po’, perché da domani – la vita – cambia ancora e questa volta ci sarà da organizzarsi per te, ma non ho sonno.

Quando ti stringevo la mano pensavo proprio a quella perdita di sangue lì, alle due possibilità che ha. E’ proprio vero che, persino all’ultimo, c’è sempre qualcosa da scegliere nella vita. Persino inconsapevolmente, ma si sceglie.

Non riesco proprio a dormire pensando che stanotte tu e il direttore sceglierete.

Non so invocare un miracolo, non tanto perché non lo voglia, quanto perché so bene che eri contento della vita vissuta. Sembrerò cinico, ma ho – semplicemente – fede. Mi affiderò a chi sta in Alto, perché so già che le mie scelte son ben poca cosa al confronto delle Sue.

A proposito di scelte, in realtà mi dispiace non aver parlato di una cosa. So che sei stato, finché era (lui!) in vita, consigliere segreto di Papa Giovanni Paolo II. Una figura che praticamente la gente non conosce ma che secondo me è uno dei compiti più belli della vita: un dietro le quinte umile e nascosto. Consigliere segreto. Vi ho immaginato spesso – te e il papa – a confabulare in qualche stanzona del Vaticano. Chiusi tra quelle mura a riflettere di chissà cosa. Ed è proprio quel chissà cosa che mi incuriosisce. Giovanni Paolo II è stato un grande papa, chissà se la tua mano non sia stata in qualche modo artefice anche di questo.

Avrai modo di dirmelo? Rimarrà per sempre una mia curiosità? Non amavi dirlo in giro, anzi credo che forse neanche lo sappiano tutti in famiglia… non so neanch’io come venni a sapere di questa cosa, anni fa.

Ecco. Ecco cosa mi dispiace ed ecco il perché delle mie lacrime. Avevamo scoperto – e tu ne eri palesemente felice – di poter parlare, finalmente. Io e te.

Quella sera mi dicesti una cosa a proposito del mio attuale stato di felicità estrema: “dovrai trovare la capacità di trasmettere felicità semplicemente con la tua presenza”. Nuovamente parole assurde, nuovamente parole che rimangono dentro e che se cerchi di inghiottirle risalgono prepotenti.

Eppure io adesso sono qui, con qualche lacrima per questo tuo momento di scelta, ma consapevole che tutto ha un disegno più grande di quel che vediamo.

Gioia e dolore han lo stesso sapore.

Emanuele


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